Pelli di rettile e squalo
Negli ultimi tempi la ricerca di novità nella moda ha avuto lieto successo utilizzando pelli di serpenti, alligatori, cetacei, ecc., per la fabbricazione di calzature, specialmente femminili di lusso, di borsette, valigie, cinture, ecc.
Solamente da pochissimi anni tali pelli sono entrate in commercio, per quanto già da un secolo circa fosse impiegata quello dello squalo allo stato naturale, per polire e lustrare il legno da ebanisteria, l’avorio e materie consimili. Durante la guerra si è anche tentato di usarla in grandi partite, per la fabbricazione di scarpe sia comuni che militari; ma non si è mai potuto ottenere una lavorazione in grande per la discontinuità del rifornimento della materia prima.
Tuttavia, in questi ultimi anni del dopo guerra, per svariati motivi, le pelli di serpenti, di alligatori, di anfibi anche piccoli, di pescicani e di altri animali marini hanno assunto tale importanza che da una statistica ufficiale pubblicata dal Governo degli Stati Uniti d’America, solo di pelli di pescecane ne risultano impiegate nel solo anno 1924 ben 1 milione di libbre. Del resto la pesca del pescecane è sotto ogni riguardo fortemente redditizia; giacché da ogni porzione del suo corpo l’uomo ha saputo trarre un utile: dalla pelle, che fornisce un cuoio ottimo, duraturo e, se ben lavorato, morbidissimo (la lavorazione è difficile, ma operata con opportuni accorgimenti, fornisce un prodotto finito che non ha nulla da invidiare al miglior cuoio d’altra origine); dalla carne, che non solo, contrariamente a quanto si crede, è commestibile (i Cinesi ne fanno largo uso), ma assai nutritiva, per l’alto contenuto di proteine, e, quando è immangiabile all’uomo, serve all’alimentazione di animali da allevamento, o alla fabbricazione di colle e concimi, pregiati per l’alto tenore in azoto ed in fosforo; dal fegato, che può fornire un olio capace di sostituire bene quello di merluzzo, ed è ricercato (il suo prezzo era nel 1924 di 73 dollari per tonnellata); dalle ghiandole, che trattate opportunamente si usano in medicina; dal succo gastrico, che fornisce la sostanza azotata di composizione chimica non ben definita, impiegata nella cura del diabete, detta insulina.
Quanto poi alle pelli di serpente, che si trovano sul mercato assai meno frequentemente che quelle di squalo, hanno raggiunto in questi ultimi tempi prezzi altissimi.
Ma ciò che maggiormente interessa è il fatto, che tutte questa varie sorte di pelle sono state subito imitate, lavorandone opportunamente altre di minor valore, che quasi irriconoscibili si trovano sul mercato più spesso che le vere. Tali imitazioni sono ottenute con un metodo semplice in sé, che però richiede un macchinario complesso e adatto, e tutt’affatto speciale, ed una cura grandissima nella lavorazione.
Sono quasi sempre pelli di montone, più raramente di capre: vengono conciate coi metodi normali sia al cromo che a concia vegetale, oppure a concia combinata cromo-tannino, e quindi tinte coi colori adatti, ingrassate e rifinite nei soliti modi: alcune colorate solo esternamente con pigmenti all’acqua od alla cellulosa e quindi verniciate.
Qui la pelle è portata alla macchina che deve incidere la grana caratteristica del cetaceo, del serpente ecc. La macchina è essenzialmente costituita di una placca metallica incisa (sia a mano che con processo galvanoplastico) da una matrice, contro la quale a mezzo di un rullo metallico viene compressa fortemente la pelle già lavorata nel modo suesposto. La pressione deve essere forte, ma regolarissima e costante per tutta la durata dell’operazione; e il lavoro è eseguito a caldo, ad una temperatura variabile tra i 40° e gli 80°, secondo la grana da incidere e la pelle. Per ottenere tale temperatura, sia la placca che il rullo compressore sono riscaldati opportunamente con vapore acqueo od acqua.
E. Bravo
(Tratto da : La Parola - 1 Gennaio Febbraio 1927 - Enciclopedia Mensile della Cultura Italiana - Torino, 1927 )