23 Gennaio 1926 - Sabato
LA DONNA NELLA VITA DI RICCARDO WAGNER Conferenza tenuta all’Università Popolare in Savona la sera del 23 gennaio 1926 Parlare di un grande, quando si è così lontani e all’infuori di ogni grandezza, può sembrare a molti, presunzione. Ma non è che un umile atto devoto alla memoria di un artista al quale si è votato un culto. Il genio e la parola. Incompreso, vilipeso, tradito, eternamente in lotta con gli uomini, col denaro, assillato dal pensiero del domani, tormentato da una malferma salute, egli seppe tuttavia astrarsi e tradurre l’intima essenza del mondo in suoni, lasciandoci quei capolavori che, se pochi del suo tempo apprezzarono, formano ora un patrimonio artistico prezioso e durevole. Wagner parlava un linguaggio troppo elevato per essere inteso dai più; ciò ch’era cibo spirituale per una piccola accolta di privilegiati, sembrava veleno ai profani, ed i profani hanno sempre formato la maggioranza in tutti campi dell’arte pura. Senza piegarsi né davanti ai disagi della vita, né davanti a coloro che vedevano in lui un degenerato, egli procedeva verso l’altissima vetta che solamente gli eletti sanno raggiungere, più divinamente, che umanamente. La fanciullezza. A Lipsia, il 23 maggio 1813, nasceva nella casa dei Wagner, piccoli modesti borghesi, il settimo rampollo: Riccardo. De fratelli, Alberto, Rosalia, Luisa e Clara, si erano volta a volta dedicati al teatro, possedendo tutti il dono di bellissime voci. La madre del piccolo Riccardo, non avendo alcuna simpatia per il teatro, sognava che il suo ultimo nato diventasse “qualcuno” per altra via. Era uno strano bambino, pallido e selvatico, con dei nervi estremamente sensibili, ed una natura indomabile. Si era fitto in capo che le cose avessero una anima, che gli oggetti nel buio muovessero, che la sua camera - la sera - si popolasse di fantasmi. Per un certo tempo, non passò notte senza ch’egli si svegliasse urlando. Bisognava rimproverarlo con toni di voce molto violenti, perché finalmente tacesse. Più tardi confessò, che l’esser sgridato acerbamente, gli dava un senso di sollievo, liberandolo dall’ambascia dell’ incubo. La vocazione drammatica. Fanciullo, componeva versi e li declamava con grande espressione; pensoso adolescente, scrisse un drammone: “Liubaldo e Adelaide” per dedicarsi al quale, trascurò la scuolae gli studi, gettando nella costernazione la sua famiglia, che aveva riposto molte speranze in quel geniale ragazzo, spontaneo ed istintivo. Ma la passione per la musica, stava nascendo in lui, come un fiore nutrito di roccia, che cresce senza alcun alimento. A teatro, egli andrà a sedersi vicinissimo all’orchestra, per non perdere alcuno dei suoni ed il canto del violino, darà alla sua grande anima canora, un’esaltazione mistica. E pensa di musicare il suo dramma, come l’idolatrato Beethoven aveva fatto per “Egmont”; ma si dibatte in una crisi di smarrimento ; non sa precisamente che cosa incominciare, che cosa produrre. La famiglia continua ad essere ostile alle sue “manie” di compositore, il denaro a scarseggiare. Non ha un amico, alcuna conoscenza preziosa. L’eterno innamorato. Questo grande uomo, sensibilissimo alla grazia muliebre, non sapeva opporre resistenza alle lusinghe del sesso gentile. La sua biografia è ricca di episodi amorosi, ricchissima di nomi. Riccardo Wagner si potrebbe chiamare, senza tema di cadere nell’esagerazione: l’eterno innamorato. Precocemente – a tredici anni – egli s’invaghisce di una bella signorina, Amelia Hoffman. Quando alla domenica, ella entra elegantissima nel salotto dei Wagner, egli resta stupefatto di ammirazione, non ritrovando la facoltà della parola….. Ciò che non gli vieta – lo stesso anno – d’infiammarsi ancor più per due “soggetti”, le contessine Jenny e Augusta Pacata, amiche della sorella Ottilia. Un vaticinio. Dopo aver udito la magnifica artista, egli le scrisse una lettera appassionata, in cui dichiarò: “Se mai un giorno, il nome di Wagner acquisterà qualche pregio, sarà per merito di Guglielmina Schroeder”. Illusioni e delusioni. Dovrà Wagner ritrovare sul suo cammino le contessine Jenny e Augusta Pacata ed il suo cuore palpiterà nuovamente per le due bellissime creature. Ma come avrebbe potuto, un giovane privo di beni di fortuna e con un nome oscuro ambire a qualche cosa di più che ad un sorriso delle elette? Ed egli si rivolgerà più modestamente ad una giovane corista: Teresa Ringelmann, figlia, ahimè! di un becchino. Ma quando i parenti della ragazza vogliono forzarlo a chiedere in sposa la graziosa Teresa, Wagner si eclissa, tanto più che ha scoperto di avere un rivale non precisamente platonico, in un suonatore di oboe. Tre cuori. Ma tre donne – in diversi modi -lasciarono una vera e propria traccia nella vita del grande amatore: Minna Planer – la prima moglie – Matilde Wesendonk, ispiratrice del Tristano, e Cosima von Bulow, seconda moglie e acuta continuatrice spirituale dell’opra di Wagner. La prima unione. L’idillio fra i due, sbocciò: con giovanile esuberanza di sentimento nell’uno; tepido e calmo affetto, nell’altra. Minna, non era creatura da grandi passioni: ottima donna di casa, aveva in sé, il senso dell’ordine, dell’economia, della praticità. Per guadagnarsi da vivere e non per vocazione, ella era divenuta la sua cantante. La sua infanzia triste, povera, dura, le aveva lasciato l’orrore di tutto quanto sapesse di zingaresco, di provvisorio, di “bohéme”. L’amore travolgente del giovane direttore d’orchestra, più che commuoverla, la stupiva, la disorientava. Le frasi ardenti di quell’uomo audace, irriflessivo, sempre pronto ad infiammarsi o a partire sul cavallo alato del sogno, la lusingavano e la riempivano di terrore ad un tempo. Dall’idillio al matrimonio, il passo fu breve, Wagner aveva allora ventunenni e Minna gli era maggiore. Egli non ignorava che la sua fidanzata fosse stata sedotta da un conte, a quindici anni, e ne avesse avuto una figlia. E per altre cause ancora, Wagner pensò un momento di abbandonare la creatura che gli parve immeritevole di essere amata con esclusività. Ci fu allora fra loro una di quelle scene terribili e funeste, prototipo delle altre che seguirono nella disgraziata unione. Poi, come spesso accade nelle liti fra innamorati, la pace tornò. Forse per evitare ostacoli o conscio di commettere un grave errore, Wagner non fece parte alla sua famiglia di questo matrimonio. Disagio e dissidi. Nessun benessere domestico regna nella nuova dimora; mobili ed utensili sono comprati a rate. Minna non ha neanche un corredo; il marito poco denaro. La divergenza delle loro nature e delle loro mentalità, la nessuna influenza dell’uno sul carattere chiuso e testardo dell’altra, accendono continue liti che, generate il più delle volte da ridicoli motivi, finiscono sempre violentemente. La donna ideale. Matilde Wesendonk, bionda e squisita renana , dotata di una intuizione e di una sensibilità artistica rarissime, apparve nella vita di Riccardo Wagner, con tutti gli incantamenti di una fata Morgana. Innamorata della musica fino all’esaltazione, poetessa gentile e romantica, circonfusa dall’aureola di una giovinezza radiosa e di una bellezza di fine cammeo scolpito nell’avorio, comprese in breve, quale anima assetata d’ideale, quale mente sovrumana, quale grande cuore, fossero racchiusi nella persona di Riccardo Wagner.
L’ispiratrice. Egli riprese a lavorare intensamente, con febbre nuova, non mai provata, con una gioia assolutamente sconosciuta. Sapeva che ogni giorno, dalle cinque alle sette, si sarebbe recato da una “sua” creatura, a suonarle ciò che aveva composto, da una donna che sapeva ascoltarlo “come Brunhilde ascoltava Wotan”. Matilde divideva questa gioia, che però non bastava al suo grande cuore. Wagner aveva fatto comprendere alla dolce amica, che egli sognava una casetta sua, proprio sua. D’accordo col marito, Matilde insedia il grande amico, in una piccola deliziosa casa, vicino alla loro magnifica e lussuosa villa, sulla collina verde di Zurigo, affinché, nella pace assoluta e circondato da tutte le cose confortevoli che rendono riposante l’esistenza, sia dato al loro protetto di realizzare il suo sogno di pace e di lavorare alla gigantesca epopea dei Nibelungi.
Dall’amicizia alla passione. Ma così non fu. L’amicizia divina, si umanizzava; fatalmente saliva a passi di gigante, verso le più alte vette della passione. Wagner non può più vivere senza Matilde, e se non è dato loro di vedersi, si scrivono. Ella gli invia dei doni, lavori d’ago fatti colle sue mani dalle dita sottili come fuselli ed egli la ringrazia commosso. “Non oserò poggiare la testa sul cuscino che mi avete inviato, nemmeno essendo infermo…voi stessa lo metterete sotto il mio capo, quando sarò morto. Questo è il mio testamento”. Come un’essenza sottile ed avvelenata, l’amore era nell’aria ch’essi respiravano, nei loro lunghi sguardi crucciati, nella stretta convulsa delle loro mani. Ambedue sentivano il pericolo farsi sempre più grande, più pauroso: invincibile.
Intermezzo sentimentale. Attorno alla principesca dimora dei Wesendonk le piccole anime impastate di veleno,stanno in agguato: si mormora. Le oneste signore di Zurigo, snodano la lingua viperinamente. Minna è gelosa, propensa ad immaginare i più neri tradimenti. Otto Wesendonk è conscio di dibattersi in un’atmosfera guasta, pesante, asfissiante. Wagner rallenta le sue visite; con disperato ardore, soffoca la passione travolgente, in un lavoro intensissimo; fatica intellettuale e lunghe passeggiate all’aria libera, lo distraggono lievemente dal pensiero increscioso di non poter più frequentare la casa dei Wesendonk. Qualche volta, la sera, si reca da loro e qui voglio lasciare la parola a Wagner stesso, per descrivere a che cos’erano ridotte quelle riunioni un tempo così calde di spiritualità: ”Mi riusciva assolutamente insopportabile di consacrare delle serate intere, a conversazioni alle quali Wesendonk si credeva obbligato di prender parte. La tema di vedersi soppiantato da me nella sua casa, gli ispirava il singolare ardore che risente colui che s’immischia in tutti i discorsi per la tema d’esser relegato lontano. La sua presenza fra di noi, produceva a un dipresso l’effetto di uno spegnitoio su di una candela.”.
Scandalo e gelosia. Il prologo del “Tristano” istrumentato, è finito. Wagner lo invia a Matilde, accompagnato da una lettera. La gelosissima Minna sorprende il latore, gli strappa la missiva. Legge, si rivolta, corre da Wagner, lo assale con una clamorosa scenata. Alla Wesendonk, ripete la scena, minacciando di rivelare la “tresca” al marito. E qui sentiamo i due avversari – Wagner e Minna – accusarsi l’un l’altro. L’uno narra nelle sue memorie, che la famosa lettera non conteneva se non frasi di deferente omaggio. Minna, invece, racconta diffusamente l’avventura, in modo assai diverso. Leggiamo un brano della lettera ch’ella scrisse ad un’amica: “ Dopo aver descritto a Matilde, una notte tutta piena di amorosi sogni, Riccardo aggiunge: ”Il mattino ritrovai la ragione e riuscii ad indirizzare una preghiera al mio angiolo: Amore! Amore! Gioia profonda della mia anima, in questo amore, unica sorgente della mia redenzione. Poi, è venuto il giorno ed il tempo cattivo; cosicché la felicità di vederti, mi è stata negata. Non mi riusciva di lavorare. La giornata fu una lotta fra il mio pessimo umore e l’aspirazione verso di te”.
Il diario veneziano. Dove corre a ripiegarsi su se stesso, il leone ferito? A Venezia. Soltanto la città celestiale poteva compiere il miracolo di una convalescenza a così acuto e rovente male. Un celebre carteggio. Finalmente Matilde, supplicata da lui, gli manda direttamente il suo pensiero e s’inizia fra di loro quella corrispondenza che la Wesendonk desiderò venisse pubblicata dopo la sua morte, ossia dopo il 1902, unitamente al diario di Venezia, in suo possesso. Pubblicazione che incontrò qualche ostacolo: Cosima, la seconda moglie di Wagner, non voleva, a tutta prima, dare il suo consenso, e lo si comprende facilmente….. Ma colla superiorità di spirito che fu sempre la prerogativa di questa donna d’eccezione, finì per piegarsi davanti al voto di una morta. Concesse che gli eredi dessero alle stampe quei documenti d’umanità – confessioni intime e sublimi – che gettano un fascio di luce su di un dramma, al quale i veli dell’imprecisione non potevano che nuocere.
3 ottobre 1858 “Ho un’esistenza veramente infelice! Quando penso di qual terribile cumulo di crucci, di esasperazioni, di dolori, devo caricarmi per procurarmi di tanto in tanto un po’ di godimento, ho quasi vergogna d’impormi ancora alla vita, poiché il mondo, tutto ben considerato, non vuol saperne di me”. 13 ottobre. “Tu non conosci la mia vita, fino al giorno in cui t’incontrai, fino al giorno in cui diventasti mia…Hai avuto il coraggio di precipitarti in tutte le sofferenze umane, per potermi dire <<Ti amo>>. Fu la mia liberazione; di là mi venne quella calma sacra che diede alla mia vita una significazione nuova. Quanto a noi due, lontani o vicini, siamo uniti, non formiamo che una persona sola”. Una lettera da Lucerna, attesta che i due innamorati si sono rivisti. Dopo quel fugace incontro (sette mesi son trascorsi dalla fuga a Venezia) vi è una lunga pausa nella corrispondenza, o almeno, così risulterebbe. Riprendono le lettere a Matilda, da Venezia, da Milano, da Lucerna, da Parigi, ma mentre le prime sono tutte un grido di passione, queste trattano della sua salute sempre malferma e della sua opera che procede mirabilmente. Lo spirito ha vinto la carne, la lontananza e l’intenso lavoro intellettuale, sono stati balsami sulla piaga, che se a tratti ancora duole, non è più viva e bruciante. Egli scrive: <<Tristano>> è e resta per me , un miracolo! Come io abbia potuto fare una cosa simile lo comprendo sempre meno. Rileggendolo, rimango stupefatto…<<Parsifal>>, si è destato in me, vivamente; lo vedo sempre più chiaramente. Quando sarà maturo, lo scrivere questo poema, mi darà un piacere indicibile”. Nell’anno 1865, troviamo ancora un grido del Maestro a chi fu la sua più adorante allieva: “Il <<Tristano>> diventa meraviglioso. Venite?”.
Una lettera di Matilde. Cosima volle unire alla pubblicazione delle 150 lettere di suo marito, 14 di Matilde, trovate fra le carte di Wagner. L’anima di questa squisita creatura vi affiora con grazia appassionata e ci rende cara la sua figura di amante ispiratrice. Leggiamone una soltanto; la più commovente, la più gentile: “Vorrei vedervi almeno una volta all’anno nella mia casa, affinché i miei bambini non vi diventassero degli estranei. Ho sempre tenuto sveglio in loro il ricordo di voi e ancor oggi, essi conoscono l’”Asilo” sotto il nome: “Il giardino dello zio Wagner”. La piccola casa è protetta da me; vi alloggia il precettore di mio figlio e questi vi studia durante il giorno” Idealista, Matilde Wesendonk dava una enorme importanza alle piccole cose. L’aver potuto difendere il rifugio, dall’intrusione di nuovi inquilini, la confortava un poco di dover vivere lontana dall’esule. Wagner scriveva un giorno all’amica Elisa Wille: “Lo stato di abbandono della mia casa, la necessità di occuparmi di cose per le quali non sono fatto, il dovermi sbagliare da solo, senza un’assistenza amica, tutto ciò paralizza il mio spirito. Nuovamente ho dovuto metter su casa, comprare coltelli, forchette, casseruole, lenzuola. Io, l’adoratore appassionato delle donne, rinunzierò dunque completamente all’elemento femminino? No. Con un profondo sospiro rispondo: No”.
La terza amata. Cosima, era l’ultima figlia del grande Franz Liszt e della bellissima ed avventurosa Maria di Flavigny, contessa d’Agoult, che nonostante l’alta posizione sociale, affrontando uno scadalo clamoroso, aveva abbandonato a Parigi il marito, Conte d’Agoult, ed i bimbi per andare a vivere maritalmente col prodigioso pianista.
La figura di Cosima. Dalla madre, scrittrice illustre, sotto lo pseudonimo di Daniel Stern, Cosima ereditò il sangue aristocratico, l’innata eleganza, il carattere imperioso. Dal padre, il fascino irresistibile che fece di Liszt uno degli uomini più adorati, più ricercati del suo tempo, l’alta e sottile figura, il profilo d’aquila, gli occhi chiari penetranti, pieni di alterezza: occhi di dominatrice. Sprezzante con gli sciocchi, sdegnosa coi mediocri, Cosima ammirava senza riserve tutto quanto la trasportava in alto, lontano dalla meschinità della vita comune. Anima inquieta, in cerca di forti emozioni, subì come molte altre, ma più intensamente l’attrazione magnetica di Wagner; comprese che darsi tutta ad un uomo come quello, consacrarsi perdutamente alla sua opera colossale, sarebbe stato compiere la più grande, la più magnifica delle missioni. In una lettera al pittore Lembach, ella confessa appunto: “ Non ho più altro pensiero che il compimento della mia missione, nella quale troverò egualmente la felicità”.
L’errore fatale. Non erano in Cosima la timidezza, la soavità, la sensibilità di Matilde Wesendonk. Audace, energica, battagliera, in lei il cervello ebbe sempre parte preponderante sul cuore; nata colla tempra di un condottiero, seppe unire allo spirito calcolatore l’abilità del diplomatico e la devozione cieca dell’innamorata. Una viva simpatia che non si manifestò mai in parole, bensì in prolungati silenzi, si accese lentamente, fra Wagner e Cosima alimentata da frequenti incontri, da scambi di cortesie e certo più che altro dal destino, che scrisse sulla stessa pagina: “Quest’uomo per questa donna”. “Ciò che noi sentivamo” dice Wagner, “era così grave e così profondo, che la sola gioia di rivederci, poteva farci dimenticare i momenti penosi che ci attendevano”. Essi hanno tanta felicità inloro, da scordare tutto quanto non sia la ricostruzione di una vita che li unisca sempre più intimamente, sempre più tenacemente, fino alla morte.
Unione perfetta. Senza dubbio, Wagner fu perfettamente felice nel suo secondo matrimonio. (Minna era morta di un attacco cardiaco, senza rivedere il marito). A Tribschen, sul Lago dei Quattro Cantoni, i due sposi scordarono le lotte, le angoscie, gli amici diventati nemici, le ire di Luigi di Baviera, che li aveva abbandonati con indignazione; tutta la fioritura di pettegolume sbocciata dal nuovo romanzo di Wagner, a lieto fine, perciò tanto più degno d’invidia. E la felicità dei due immemori si fece anche più intensa, il giorno in cui Cosima diede alla luce il figlio Sigfrido, per la nascita del quale, Wagner compose l’ ”Idillio” famoso: una delle pagine musicali del maestro, più profonde e più commoventi. Nelle lunghe sere d’inverno, fra le meraviglie naturali di Tribschen, che Federico Nietzsche chiamò “L’isola dei beati”Wagner riprese a comporre il “Sigfrido” abbandonato da undici anni: e dettò alla sua compagna le “Memorie” che narrano le battaglie sostenute, in forma forse più smagliante che veridica, poiché rievocata sotto la influenza dei suoi sentimenti verso Cosima.
La missione di Cosima. Il 13 febbraio 1883, a Venezia, nel palazzo Vendramin-Calergi, Wagner moriva fra le braccia di Cosima, a settant’anni. Egli aveva cantato e suonato quel giorno la prima scena dell’”Oro del Reno” e terminato il suo scritto: Il “femmininonell’umano”. La mattina era grigia e fredda: pioveva. Tutta la tristezza del mondo gravò sul palagio magnifico, come una pietra tombale. Cosima vegliò la salma per ventiquattr’orr senza rilascio, in un chiuso ed attonito dolore che l’impietrò come un marmo. Allorché il medico volle trarla da quella contemplazione, ella si recise le lunghe trecce che il marito tanto amava e le pose il feretro. GIULIA DATTA DE ALBERTIS (Tratto da : La Parola - 4 Aprile 1926 - Illustrazione mensile del pensiero parlato - diretta da Zino Zini - UTET, 1926 ) *ERRATA – CORRIGE
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