23 Gennaio 1926 - Sabato

 

LA DONNA NELLA VITA DI RICCARDO WAGNER

 Conferenza tenuta all’Università Popolare in Savona la sera del 23 gennaio 1926 

Parlare di un grande, quando si è così lontani e all’infuori di ogni grandezza, può sembrare a molti, presunzione. Ma non è che un umile atto devoto alla memoria di un artista al quale si è votato un culto.
Nessuno di voi certo, ignora il nome di RICCARDO WAGNER e tutti indubbiamenteconoscete da stampe, da riproduzioni di quadri, il profilo caratteristicamente aggressivo, di chi non fu solamente un formidabile musicista, ma un drammaturgo, un esteta, un pensatore, un filosofo. L’arte non può costringersi nei confini di una nazione. L’opera di RICCARDO WAGNER, la sua vita intessuta di avventure e di contrasti, interessa la storia di tutto il mondo, è universalmente popolare.

Il genio e la parola.

Incompreso, vilipeso, tradito, eternamente in lotta con gli uomini, col denaro, assillato dal pensiero del domani, tormentato da una malferma salute, egli seppe tuttavia astrarsi e tradurre l’intima essenza del mondo in suoni, lasciandoci quei capolavori che, se pochi del suo tempo apprezzarono, formano ora un patrimonio artistico prezioso e durevole. Wagner parlava un linguaggio troppo elevato per essere inteso dai più; ciò ch’era cibo spirituale per una piccola accolta di privilegiati, sembrava veleno ai profani, ed i profani hanno sempre formato la maggioranza in tutti campi dell’arte pura. Senza piegarsi né davanti ai disagi della vita, né davanti a coloro che vedevano in lui un degenerato, egli procedeva verso l’altissima vetta che solamente gli eletti sanno raggiungere, più divinamente, che umanamente.

 La fanciullezza.

A Lipsia, il 23 maggio 1813, nasceva nella casa dei Wagner, piccoli modesti borghesi, il settimo rampollo: Riccardo. De fratelli, Alberto, Rosalia, Luisa e Clara, si erano volta a volta dedicati al teatro, possedendo tutti il dono di bellissime voci. La madre del piccolo Riccardo, non avendo alcuna simpatia per il teatro, sognava che il suo ultimo nato diventasse “qualcuno” per altra via. Era uno strano bambino, pallido e selvatico, con dei nervi estremamente sensibili, ed una natura indomabile. Si era fitto in capo che le cose avessero una anima, che gli oggetti nel buio muovessero, che la sua camera - la sera - si popolasse di fantasmi. Per un certo tempo, non passò notte senza ch’egli si svegliasse urlando. Bisognava rimproverarlo con toni di voce molto violenti, perché finalmente tacesse. Più tardi confessò, che l’esser sgridato acerbamente, gli dava un senso di sollievo, liberandolo dall’ambascia dell’ incubo.

 La vocazione drammatica.

Fanciullo, componeva versi e li declamava con grande espressione; pensoso adolescente, scrisse un drammone: “Liubaldo e Adelaide” per dedicarsi al quale, trascurò la scuolae gli studi, gettando nella costernazione la sua famiglia, che aveva riposto molte speranze in quel geniale ragazzo, spontaneo ed istintivo. Ma la passione per la musica, stava nascendo in lui, come un fiore nutrito di roccia, che cresce senza alcun alimento. A teatro, egli andrà a sedersi vicinissimo all’orchestra, per non perdere alcuno dei suoni ed il canto del violino, darà alla sua grande anima canora, un’esaltazione mistica. E pensa di musicare il suo dramma, come l’idolatrato Beethoven aveva fatto per “Egmont”; ma si dibatte in una crisi di smarrimento ; non sa precisamente che cosa incominciare, che cosa produrre. La famiglia continua ad essere ostile alle sue “manie” di compositore, il denaro a scarseggiare. Non ha un amico, alcuna conoscenza preziosa.
Scoppiano intanto i moti rivoluzionari. Gli studenti sono in rivolta contro la polizia, i poveri contro i ricchi. Riccardo Wagner si aggrega agli studenti, diventa rivoluzionario e monta la guardia con loro. La famiglia protesta per questa nuova follia ed egli finisce per entrare in un collegio quale studente di Arte musicale ; e fioriscono così le composizioni e l’opera “Le fate” che la sorella Rosalia, dopo molte vicissitudini ottiene di far rappresentare a Lipsia.

L’eterno innamorato.

Questo grande uomo, sensibilissimo alla grazia muliebre, non sapeva opporre resistenza alle lusinghe del sesso gentile. La sua biografia è ricca di episodi amorosi, ricchissima di nomi. Riccardo Wagner si potrebbe chiamare, senza tema di cadere nell’esagerazione: l’eterno innamorato. Precocemente – a tredici anni – egli s’invaghisce di una bella signorina, Amelia Hoffman. Quando alla domenica, ella entra elegantissima nel salotto dei Wagner, egli resta stupefatto di ammirazione, non ritrovando la facoltà della parola….. Ciò che non gli vieta – lo stesso anno – d’infiammarsi ancor più per due “soggetti”, le contessine Jenny e Augusta Pacata, amiche della sorella Ottilia.
Un giorno, per rivedere queste creature d’incantevole bellezza, egli – in compagnia di un amico – intraprende a piedi il viaggio da Dresda a Praga, giungendo in quella città spossato e simile ad un mendicante. “Quando si trattò di lasciare Jenny ed Augusta” – egli racconta – “mi volsi a guardare un’ultima volta Praga, mi precipitai a terra, piansi ed il mio amico sorpreso, dovette a viva forza farmi riprendere il cammino”. Ciò che non impedì al precoce fanciullo, di relegare quel duplice idillio fra le cose che furono e di dare il suo cuore ad una piccola ebrea deliziosa: Léa David, amica di sua sorella Luisa e figlia di un banchiere. Ma ecco un giorno apparire il fidanzato e futuro marito di Lea. Wagner si dispera, vedendo crollare il suo dolce sogno di amore a poco a poco… si consola. Tanto più che sull’orizzonte sorge la famosa Guglielmina Schroeder-Devrient, celebre interprete del “Fidelio” di Beethoven. L’intuito drammatico di quella celebre cantatrice esercitò una grande influenza sul genio di Wagner; nacque allora nel suo pensiero, l’intima unione del dramma colla musica, che fu poi creazione prettamente wagneriana.

Un vaticinio.

Dopo aver udito la magnifica artista, egli le scrisse una lettera appassionata, in cui dichiarò: “Se mai un giorno, il nome di Wagner acquisterà qualche pregio, sarà per merito di Guglielmina Schroeder”.
L’artista aprì la sua casa al giovine e ardente compositore, ricambiandolo di viva simpatia e di Wagner, fece il suo confidente. Una sola cosa non gli perdonava: di aver preso moglie. Ella soleva chiamarlo scherzosamente “un invalido del matrimonio”. Ma l’amicizia colla famosa artista, più tardi, si guastò; prima per volgari affari d’interesse ; poi per cause sentimentali. La Schroeder, era diventata gelosissima di una nipote di Wagner: Iohanna, alla quale lo zio aveva affidata la parte di Elisabetta nel “Tannhäuser”. Questa fanciulla, giovanissima e carina, era, anche artisticamente, una rivale temibile per la ormai matura cantatrice e Wagner, facendola scritturare al teatro di Dresda, aveva determinato il licenziamento della Schroeder-Devrient; questa, non perdonò mai l’affronto ricevuto e si vendicò esigendo che Wagner le rendesse immantinente i mille talleri ch’ella gli aveva prestati a lunga scadenza, mettendo così il giovane in grande impiccio.
 

Illusioni e delusioni.

Dovrà Wagner ritrovare sul suo cammino le contessine Jenny e Augusta Pacata ed il suo cuore palpiterà nuovamente per le due bellissime creature. Ma come avrebbe potuto, un giovane privo di beni di fortuna e con un nome oscuro ambire a qualche cosa di più che ad un sorriso delle elette? Ed egli si rivolgerà più modestamente ad una giovane corista: Teresa Ringelmann, figlia, ahimè! di un becchino. Ma quando i parenti della ragazza vogliono forzarlo a chiedere in sposa la graziosa Teresa, Wagner si eclissa, tanto più che ha scoperto di avere un rivale non precisamente platonico, in un suonatore di oboe.

Tre cuori.

Ma tre donne – in diversi modi -lasciarono una vera e propria traccia nella vita del grande amatore: Minna Planer – la prima moglie – Matilde Wesendonk, ispiratrice del Tristano, e Cosima von Bulow, seconda moglie e acuta continuatrice spirituale dell’opra di Wagner.
Il giovane maestro, era stato nominato direttore d’orchestra di una compagnia che, nell’estate, agiva in una stazione balnearia della Turingia. Fu precisamente a Lauchstaedt, che il piccolo dio bendato, lanciò nel cuore di Wagner la sua più acuta freccia, additandogli l’ingenua della compagnia, la bella Minna Planer, che, per un gioco del caso, si trovò anche ad essere sua vicina di camera.

La prima unione.

L’idillio fra i due, sbocciò: con giovanile esuberanza di sentimento nell’uno; tepido e calmo affetto, nell’altra. Minna, non era creatura da grandi passioni: ottima donna di casa, aveva in sé, il senso dell’ordine, dell’economia, della praticità. Per guadagnarsi da vivere e non per vocazione, ella era divenuta la sua cantante. La sua infanzia triste, povera, dura, le aveva lasciato l’orrore di tutto quanto sapesse di zingaresco, di provvisorio, di “bohéme”. L’amore travolgente del giovane direttore d’orchestra, più che commuoverla, la stupiva, la disorientava. Le frasi ardenti di quell’uomo audace, irriflessivo, sempre pronto ad infiammarsi o a partire sul cavallo alato del sogno, la lusingavano e la riempivano di terrore ad un tempo. Dall’idillio al matrimonio, il passo fu breve, Wagner aveva allora ventunenni e Minna gli era maggiore. Egli non ignorava che la sua fidanzata fosse stata sedotta da un conte, a quindici anni, e ne avesse avuto una figlia. E per altre cause ancora, Wagner pensò un momento di abbandonare la creatura che gli parve immeritevole di essere amata con esclusività. Ci fu allora fra loro una di quelle scene terribili e funeste, prototipo delle altre che seguirono nella disgraziata unione. Poi, come spesso accade nelle liti fra innamorati, la pace tornò. Forse per evitare ostacoli o conscio di commettere un grave errore, Wagner non fece parte alla sua famiglia di questo matrimonio.

Disagio e dissidi.

Nessun benessere domestico regna nella nuova dimora; mobili ed utensili sono comprati a rate. Minna non ha neanche un corredo; il marito poco denaro. La divergenza delle loro nature e delle loro mentalità, la nessuna influenza dell’uno sul carattere chiuso e testardo dell’altra, accendono continue liti che, generate il più delle volte da ridicoli motivi, finiscono sempre violentemente.
Wagner ebbe a scrivere, più tardi, all’amica Elisa Wille: “Il mio matrimonio non fu che una prova di pazienza e pietà”. Per quelle nozze male assortite, gli restò l’orrore dei matrimoni precoci.
Minna non tarda a stancarsi di quella vita misera e randagia e fugge, praticamente assistita da un amico, abbandonando il marito in un momento di gravi preoccupazioni morali e materiali, fra noie di teatro e assalti di creditori. Wagner la insegue e finalmente la ritrova a Dresda in casa dei suoi parenti. Ma evidentemente, solo una creatura innamorata, devota, fiduciosa nell’avvenire, avrebbe resistito a tal genere di vita; non Minna, che pel marito non aveva mai sentito che un’amichevole affezione. E non ci si può scagliare troppo severamente contro questa donna sventurata, che se seppe, a tratti, essere una buona compagna di sventura, non le riuscì però di seguire con continuità, l’audacia di un essere, che il più delle volte le apparve chimerico ed esaltato. Ella avrebbe preferito un piccolo porto sicuro alla seduzione di un magnifico e periglioso volo.
Egli era l’aquila possente. Ella l’alcione che non può fare il nido, che in perfetta calma. E viene il tempo in cui Wagner deve lasciare la patria, poiché un ordine d’arresto è spiccato contro di lui, quale agitatore pericoloso, amico del rivoluzionario Bakounine, focoso ed imprudente arringatore di popolo. Wagner era, allora, maestro di cappella reale! Sotto falso nome, aiutato da Liszt, egli si rifugiò a Zurigo (e l’esilio durò dodici anni) dove lo raggiunse la turbolenta Minna, colla figlia naturale Natalia, il cane Peps, il pappagallo Papo.
Riprende così, la strana vita dei due nomadi, dissonante ed amara. Non avendo bambini, essi si affezionarono moltissimo al cane e al pappagallo, anzi, questo comune affetto per i due animali domestici, è l’unico legame sentimentale fra il marito e la moglie.
In questi anni di esilio, Wagner attraversò una delle crisi più dolorose della sua travagliata esistenza. Nello stato di profondo disgusto che lo sommergeva, egli pensò alla morte come all’unico scioglimento possibile. Discepolo di Schopenhauer, alla cui fonte filosofica si era sempre dissetato, giudicava gli uomini spietatamente; e considerava la vita ed il matrimonio, quali tranelli tesi all’uomo dalla natura.

La donna ideale.

Matilde Wesendonk, bionda e squisita renana , dotata di una intuizione e di una sensibilità artistica rarissime, apparve nella vita di Riccardo Wagner, con tutti gli incantamenti di una fata Morgana. Innamorata della musica fino all’esaltazione, poetessa gentile e romantica, circonfusa dall’aureola di una giovinezza radiosa e di una bellezza di fine cammeo scolpito nell’avorio, comprese in breve, quale anima assetata d’ideale, quale mente sovrumana, quale grande cuore, fossero racchiusi nella persona di Riccardo Wagner.
Otto Wesendonk – marito di Matilde – rappresentante di una casa di sete di New York a Zurigo, uomo intelligente, amava circondarsi di artisti. Ricco, generoso, buono, fu lieto di diventare l’amico ed il mecenate dell’esule tedesco, gli aprì la sua casa come ad un fratello.
Matilde, una vampa chiusa in un involucro di perla, divenne l’allieva più sensibile, più riconoscente del grande maestro. Gli lesse i suoi poemi, docile ai consigli di un uomo del quale sentiva tutta la superiorità. Entrò con lui, tremante d’emozione, attraverso i labirinti della musica di Beethoven, imparò ad approfondire l’amara e pur consolante filosofia di Schopenhauer; iniziata all’opera gigantesca di Wagner, ne ascoltò con profonda attenzione, i lavori teorici. Tutto quanto egli non aveva trovato in Minna, Matilde Wesendonk gli diede centuplicato, con emozione ardente. A quella fiamma, l’anima assiderata del grande Maesto, si riscaldò, si rianimò, rifulse, sprigionò scintille.

 

L’ispiratrice.

Egli riprese a lavorare intensamente, con febbre nuova, non mai provata, con una gioia assolutamente sconosciuta. Sapeva che ogni giorno, dalle cinque alle sette, si sarebbe recato da una “sua” creatura, a suonarle ciò che aveva composto, da una donna che sapeva ascoltarlo “come Brunhilde ascoltava Wotan”. Matilde divideva questa gioia, che però non bastava al suo grande cuore. Wagner aveva fatto comprendere alla dolce amica, che egli sognava una casetta sua, proprio sua. D’accordo col marito, Matilde insedia il grande amico, in una piccola deliziosa casa, vicino alla loro magnifica e lussuosa villa, sulla collina verde di Zurigo, affinché, nella pace assoluta e circondato da tutte le cose confortevoli che rendono riposante l’esistenza, sia dato al loro protetto di realizzare il suo sogno di pace e di lavorare alla gigantesca epopea dei Nibelungi.
Dopo essersi installato, unitamente a Minna nel rifugio in mezzo al verde, Wagner lo battezza col nome di “Asilo” segna un tempo indimenticabile. Scrivendo al grande amico
Liszt, Wagner gli parla della sua esistenza trasfigurata: “La mia scrivania è presso alla finestra, davanti alla superba veduta del lago e delle Alpi. Una calma assoluta mi circonda; non lascerò questo “Asilo” che quando l’avventura di Sigfrido e di Brunhilde sarà completamente ultimata”.

 

Dall’amicizia alla passione.

Ma così non fu. L’amicizia divina, si umanizzava; fatalmente saliva a passi di gigante, verso le più alte vette della passione. Wagner non può più vivere senza Matilde, e se non è dato loro di vedersi, si scrivono. Ella gli invia dei doni, lavori d’ago fatti colle sue mani dalle dita sottili come fuselli ed egli la ringrazia commosso. “Non oserò poggiare la testa sul cuscino che mi avete inviato, nemmeno essendo infermo…voi stessa lo metterete sotto il mio capo, quando sarò morto. Questo è il mio testamento”. Come un’essenza sottile ed avvelenata, l’amore era nell’aria ch’essi respiravano, nei loro lunghi sguardi crucciati, nella stretta convulsa delle loro mani. Ambedue sentivano il pericolo farsi sempre più grande, più pauroso: invincibile.
L’uno, tutto doveva al suo benefattore; l’altra amava il marito, idolatrava i suoi bambini. Essi si confessano, coraggiosamente che solo l’unione delle loro anime, è possibile, o cadranno nel più basso tradimento.
Dall’analogia di questo sentimento, colla lettura del poema di Goffredo di Strasburo, nacque nella mente di Wagner “Tristano e Isotta” la cui tragedia egli scrisse in un mese e dedicò spiritualmente a Matilde Wesendonk.Il giorno in cui egli portò il manoscritto all’amata, questa abbracciando il poeta, gli disse :”Ora non ho più nulla da desiderare”. Una lunga lettera di Wagner, attesta che entrambi attraversarono l’attimo terribile in cui naufragano i sentimenti più puri, più sacri, più onesti. Una lettera appassionata, vibrante, delirante, che termina col grido: No! Non pentirti! Non pentirti!

 

Intermezzo sentimentale.

Attorno alla principesca dimora dei Wesendonk le piccole anime impastate di veleno,stanno in agguato: si mormora. Le oneste signore di Zurigo, snodano la lingua viperinamente. Minna è gelosa, propensa ad immaginare i più neri tradimenti. Otto Wesendonk è conscio di dibattersi in un’atmosfera guasta, pesante, asfissiante. Wagner rallenta le sue visite; con disperato ardore, soffoca la passione travolgente, in un lavoro intensissimo; fatica intellettuale e lunghe passeggiate all’aria libera, lo distraggono lievemente dal pensiero increscioso di non poter più frequentare la casa dei Wesendonk. Qualche volta, la sera, si reca da loro e qui voglio lasciare la parola a Wagner stesso, per descrivere a che cos’erano ridotte quelle riunioni un tempo così calde di spiritualità: ”Mi riusciva assolutamente insopportabile di consacrare delle serate intere, a conversazioni alle quali Wesendonk si credeva obbligato di prender parte. La tema di vedersi soppiantato da me nella sua casa, gli ispirava il singolare ardore che risente colui che s’immischia in tutti i discorsi per la tema d’esser relegato lontano. La sua presenza fra di noi, produceva a un dipresso l’effetto di uno spegnitoio su di una candela.”.
Risolutamente, Wagner parte per Parigi dove una figlia di Liszt – Blandine – moglie ad un celebre avvocato, promette di appoggiarlo e di aiutarlo a far rappresentare le sue opere. Questa Blandine Ollivier, ebbe la sua parte sentimentale, nella vita di Wagner; a Parigi, si parlò molto, in quei tempi del loro legame.
La principessa di Wittenstein (amica famosa di Liszt) ruppe ogni rapporto con Wagner, causa la relazione di questi con Blandine. Una lettera di Wagner, c’informa di Blandine ha prodotto su di lui, un’impressione infinitamente piacevole, causa la sua dolcezza, la sua vivacità e la meravigliosa penetrazione mentale. “Noi ci comprendevamo istantaneamente – scrive Wagner – una sola parola bastava per iniziarci, l’un l’altro verso le vedute più intime sugli uomini e sulle cose”.
E quando Wagner si recò a Weimar in occasione di un “festival” musicale, Blandine non tardò a raggiungerlo, accompagnata dal marito; là visse della sua vita, senza separarsi un’ora dal grande amico. La povera Blandine Ollivier morì poi di parto, giovanissima.
In occasione del compleanno di Otto Wesendonk, Wagner tornò a Zurigo; ma il presagio che tristi avvenimenti si preparavano, gli avvelenò la gioia di aver ritrovato Matilde.

 

Scandalo e gelosia.

Il prologo del “Tristano” istrumentato, è finito. Wagner lo invia a Matilde, accompagnato da una lettera. La gelosissima Minna sorprende il latore, gli strappa la missiva. Legge, si rivolta, corre da Wagner, lo assale con una clamorosa scenata. Alla Wesendonk, ripete la scena, minacciando di rivelare la “tresca” al marito. E qui sentiamo i due avversari – Wagner e Minna – accusarsi l’un l’altro. L’uno narra nelle sue memorie, che la famosa lettera non conteneva se non frasi di deferente omaggio. Minna, invece, racconta diffusamente l’avventura, in modo assai diverso. Leggiamo un brano della lettera ch’ella scrisse ad un’amica: “ Dopo aver descritto a Matilde, una notte tutta piena di amorosi sogni, Riccardo aggiunge: ”Il mattino ritrovai la ragione e riuscii ad indirizzare una preghiera al mio angiolo: Amore! Amore! Gioia profonda della mia anima, in questo amore, unica sorgente della mia redenzione. Poi, è venuto il giorno ed il tempo cattivo; cosicché la felicità di vederti, mi è stata negata. Non mi riusciva di lavorare. La giornata fu una lotta fra il mio pessimo umore e l’aspirazione verso di te”.
Scoppia lo scandalo, enorme, data la popolarità dei protagonisti: è la rottura completa di ogni rapporto fra le due famiglie, un tempo indivisibili. Nell’animo esacerbato di Matilde, cova un profondo rancore contro Wagner, che non ha saputo evitare che s’insozzasse la cima vergine del loro sogno. Solamente più tardi, ella gli perdonerà, pei buoni uffici della comune amica Elisa Wille. Prima di lasciare “l’Asilo”, Wagner scrisse a Matilda una lunga lettera angosciata, descrivendo minutamente le ultime ore passate nell’indimenticabile rifugio, la partenza, i pianti di Minna e la risoluzione ben netta di non perdonarle, questa volta. Minna soffre moltissimo di quella partenza. Ella scrisse ad una amica: “S’io avessi dovuto condurre mio marito al cimitero, non avrei penato di più. Avevo l’impressione di staccarmi da lui per sempre. Riccardo non pianse che quando fu nello scompartimento. Non ebbe per me alcuna parola“.

 

Il diario veneziano.

Dove corre a ripiegarsi su se stesso, il leone ferito? A Venezia. Soltanto la città celestiale poteva compiere il miracolo di una convalescenza a così acuto e rovente male.
Dopo un breve soggiorno all’albergo Danieli, Wagner s’insedia nel palazzo Giustiniani-Brandolin e là scrive il suo diario, dal quale noi vediamo in quale stato di depressione dolorosa viva per giorni e giorni, il grande nomade. Nel diario non parla che di lei – la lontana amata - . E anche, spessissimo, le scrive. Elisa Wille (nel poema di Tristano, ella s’incarna nella fedele Brangania) è l’intermediaria tra i due appassionati. Matilde, che respinse varie lettere non aperte, ora risponde di rado e sempre soltanto a mezzo della Wille; Wagner se ne lamenta, ma pel timore di perdere la preziosa amica, alla quale sente legata la sorte del suo “Tristano”, accetta anche questa diminuzione di fiducia. “Ah, io non pensavo che a te!” egli le scrive un giorno. “Mai i parenti, i bambini, il dovere, mi venivano alla memoria”; sapevo che tu mi amavi e che tutto quanto è grande ed elevato, in questo mondo, deve soffrire”.

 

Un celebre carteggio.

Finalmente Matilde, supplicata da lui, gli manda direttamente il suo pensiero e s’inizia fra di loro quella corrispondenza che la Wesendonk desiderò venisse pubblicata dopo la sua morte, ossia dopo il 1902, unitamente al diario di Venezia, in suo possesso. Pubblicazione che incontrò qualche ostacolo: Cosima, la seconda moglie di Wagner, non voleva, a tutta prima, dare il suo consenso, e lo si comprende facilmente….. Ma colla superiorità di spirito che fu sempre la prerogativa di questa donna d’eccezione, finì per piegarsi davanti al voto di una morta. Concesse che gli eredi dessero alle stampe quei documenti d’umanità – confessioni intime e sublimi – che gettano un fascio di luce su di un dramma, al quale i veli dell’imprecisione non potevano che nuocere.
E per la biografia di Wagner, quale prezioso materiale, queste lettere! Sfogliamole in ordine sparso, leggiamo qua e là qualche periodo, per comprendere i tormenti e le esaltazioni del musico-poeta.

 

3 ottobre 1858

“Ho un’esistenza veramente infelice! Quando penso di qual terribile cumulo di crucci, di esasperazioni, di dolori, devo caricarmi per procurarmi di tanto in tanto un po’ di godimento, ho quasi vergogna d’impormi ancora alla vita, poiché il mondo, tutto ben considerato, non vuol saperne di me”.

13 ottobre.

“Tu non conosci la mia vita, fino al giorno in cui t’incontrai, fino al giorno in cui diventasti mia…Hai avuto il coraggio di precipitarti in tutte le sofferenze umane, per potermi dire <<Ti amo>>. Fu la mia liberazione; di là mi venne quella calma sacra che diede alla mia vita una significazione nuova. Quanto a noi due, lontani o vicini, siamo uniti, non formiamo che una persona sola”.

Una lettera da Lucerna, attesta che i due innamorati si sono rivisti. Dopo quel fugace incontro (sette mesi son trascorsi dalla fuga a Venezia) vi è una lunga pausa nella corrispondenza, o almeno, così risulterebbe. Riprendono le lettere a Matilda, da Venezia, da Milano, da Lucerna, da Parigi, ma mentre le prime sono tutte un grido di passione, queste trattano della sua salute sempre malferma e della sua opera che procede mirabilmente. Lo spirito ha vinto la carne, la lontananza e l’intenso lavoro intellettuale, sono stati balsami sulla piaga, che se a tratti ancora duole, non è più viva e bruciante. Egli scrive:

<<Tristano>> è e resta per me , un miracolo! Come io abbia potuto fare una cosa simile lo comprendo sempre meno. Rileggendolo, rimango stupefatto…<<Parsifal>>, si è destato in me, vivamente; lo vedo sempre più chiaramente. Quando sarà maturo, lo scrivere questo poema, mi darà un piacere indicibile”.

Nell’anno 1865, troviamo ancora un grido del Maestro a chi fu la sua più adorante allieva:

“Il <<Tristano>> diventa meraviglioso. Venite?”.

 

Una lettera di Matilde.

Cosima volle unire alla pubblicazione delle 150 lettere di suo marito, 14 di Matilde, trovate fra le carte di Wagner. L’anima di questa squisita creatura vi affiora con grazia appassionata e ci rende cara la sua figura di amante ispiratrice. Leggiamone una soltanto; la più commovente, la più gentile: “Vorrei vedervi almeno una volta all’anno nella mia casa, affinché i miei bambini non vi diventassero degli estranei. Ho sempre tenuto sveglio in loro il ricordo di voi e ancor oggi, essi conoscono l’”Asilo” sotto il nome: “Il giardino dello zio Wagner”. La piccola casa è protetta da me; vi alloggia il precettore di mio figlio e questi vi studia durante il giorno” Idealista, Matilde Wesendonk dava una enorme importanza alle piccole cose. L’aver potuto difendere il rifugio, dall’intrusione di nuovi inquilini, la confortava un poco di dover vivere lontana dall’esule.
Otto Wesendonk, per far tacere chi lo aveva coperto di ridicolo, commiserandolo nella sua parte di marito tradito, invitò una volta Wagner a voler passare qualche giorno nella sua villa di Zurigo. A quel proposito Wagner scriverà più tardi a Matilde: ”Là dove siamo, non ci vediamo; è solamente là dove non siamo che i nostri occhi si fissano gli uni negli altri”.
Quando Wagner sposò Cosima Liszt, non mancò di presentare la moglie ai Wesendonk e questi si recarono varie volte a Bayreuth per le rappresentazioni Wagneriane. Fra Cosima e Matilde, ci fu sempre della correttezza; mai della affettuosa amicizia. Esse erano troppo intelligenti per non approfondire la loro rivalità, ma troppo superiori per fare di questa, soggetto di disunione.
Allorché Wagner lanciò il grido a Matilde: “Il Tristano diventa meraviglioso. Venite?” questa, dall’ombra in cui era stata ormai relegata, guardò verso la luce ch’ella stessa aveva creata e che ora sarebbe stata face di un’altra. Comprese che Wagner, nella figura d’Isotta, non avrebbe veduto se non la nuova amata e non andò. Wagner soffrì di quell’assenza. E l’orgogliosa, per confortare il suo cuore dolente, avrà forse riletto, quella sera memorabile, le parole di lui: “Matilde, d’aver creato il Tristano, ti sono debitore per tutta l’eternità”.

Wagner scriveva un giorno all’amica Elisa Wille:

“Lo stato di abbandono della mia casa, la necessità di occuparmi di cose per le quali non sono fatto, il dovermi sbagliare da solo, senza un’assistenza amica, tutto ciò paralizza il mio spirito. Nuovamente ho dovuto metter su casa, comprare coltelli, forchette, casseruole, lenzuola. Io, l’adoratore appassionato delle donne, rinunzierò dunque completamente all’elemento femminino? No. Con un profondo sospiro rispondo: No”.

 

La terza amata.

Cosima, era l’ultima figlia del grande Franz Liszt e della bellissima ed avventurosa Maria di Flavigny, contessa d’Agoult, che nonostante l’alta posizione sociale, affrontando uno scadalo clamoroso, aveva abbandonato a Parigi il marito, Conte d’Agoult, ed i bimbi per andare a vivere maritalmente col prodigioso pianista.
Fin dalla più tenera infanzia, Cosima era stata abituata a venerare Riccardo Wagner nel quale Liszt vedeva un semidio. Fatta sposa al pianista Hans de Bulow, che aveva consentito di dare alla figlia adulterina del suo maestro, un nome onorato e glorioso, si riavvicinò all’idolo Wagner, durante il viaggio di nozze. Ella e suo marito, furono n quel tempo ospiti dei Wagner, nell’ ”Asilo” sulla collina verde, che aveva servito di sfondo al dramma di Matilde Wesendonk. Cosa singolare: per un dato tempo, Minna, Matilde e Cosima, si trovarono riunite dal caso intorno ad un uomo che tutte e tre, in diverso modo, amavano.

 

La figura di Cosima.

Dalla madre, scrittrice illustre, sotto lo pseudonimo di Daniel Stern, Cosima ereditò il sangue aristocratico, l’innata eleganza, il carattere imperioso. Dal padre, il fascino irresistibile che fece di Liszt uno degli uomini più adorati, più ricercati del suo tempo, l’alta e sottile figura, il profilo d’aquila, gli occhi chiari penetranti, pieni di alterezza: occhi di dominatrice. Sprezzante con gli sciocchi, sdegnosa coi mediocri, Cosima ammirava senza riserve tutto quanto la trasportava in alto, lontano dalla meschinità della vita comune. Anima inquieta, in cerca di forti emozioni, subì come molte altre, ma più intensamente l’attrazione magnetica di Wagner; comprese che darsi tutta ad un uomo come quello, consacrarsi perdutamente alla sua opera colossale, sarebbe stato compiere la più grande, la più magnifica delle missioni. In una lettera al pittore Lembach, ella confessa appunto: “ Non ho più altro pensiero che il compimento della mia missione, nella quale troverò egualmente la felicità”.
Del matrimonio con Hans de Bulow, Wagner ebbe a dire; “Fu un matrimonio tragico”, alludendo con ciò all’assoluta mancanza d’amore fra quei due esseri.

 

L’errore fatale.

Non erano in Cosima la timidezza, la soavità, la sensibilità di Matilde Wesendonk. Audace, energica, battagliera, in lei il cervello ebbe sempre parte preponderante sul cuore; nata colla tempra di un condottiero, seppe unire allo spirito calcolatore l’abilità del diplomatico e la devozione cieca dell’innamorata. Una viva simpatia che non si manifestò mai in parole, bensì in prolungati silenzi, si accese lentamente, fra Wagner e Cosima alimentata da frequenti incontri, da scambi di cortesie e certo più che altro dal destino, che scrisse sulla stessa pagina: “Quest’uomo per questa donna”. “Ciò che noi sentivamo” dice Wagner, “era così grave e così profondo, che la sola gioia di rivederci, poteva farci dimenticare i momenti penosi che ci attendevano”. Essi hanno tanta felicità inloro, da scordare tutto quanto non sia la ricostruzione di una vita che li unisca sempre più intimamente, sempre più tenacemente, fino alla morte.
Hans de Bulow riceve la confessione sincera e spietata della moglie, con un tremito di cuore. “A chi vuoi tu dunque appartenere?” Egli le chiede gravemente. “A me o a lui? Scegli”. E consente al divorzio inevitabile, con generosità che a taluni può apparire ridicola e che non è se non la manifestazione di un essere fiero che non si umilia in suppliche e preferisce il taglio netto che incide il male, anziché un’agonia lenta e degradante.
Cosima sposa Riccardo Wagner, fra tempeste di odi e di gelosie suscitate dalla disapprovazione generale; una luce poco benevola illuminò allora gli amantile cui nozze apparvero, ai più, una sfida contro tutte le convenienze sociali. Già si era molto parlato di quella strana unione “a tre” poiché prima delle nozze, Cosima viveva più con Wagner che con suo marito; Hans de Bulow non soltanto era consapevole, ma trovava naturalissimo che ognuno, sua moglie compresa, si mettesse a disposizione per il grande uomo, per essergli utile e confortarlo. Una lettera di Peter Cornelius, alla sua fidanzata racconta: “Forse che Bulow ha addirittura ceduto la moglie a Wagner, per un’intesa ultra-romantica? L’attitudine di Hans, non potrebbe spiegarsi che attraverso questa ipotesi”.
Se gli amici osarono giudicare la condotta di Wagner, i nemici diventarono addirittura feroci e non tralasciarono alcun mezzo per privarlo della preziosa protezione di Luigi di Baviera, il re poeta e sognatore, che aiutava moralmente e finanziariamente Wagner, con tutte le forze di cui disponeva. D’accordo con Cosima, Wagner pubblicò allora un articolo in un importante giornale di Monaco di Baviera attaccando senz’altro i ministri del sovrano che tentavano di nuocergli. Questo atto inconsulto, finì per screditarlo agli occhi del re diciottenne che lo invitò a lasciare tosto la capitale bavarese.
Anche Franz Liszt fu contrario al divorzio della figliola ed al nuovo matrimonio, essendo molto affezionato ad Hans de Bulow. Più tardi, vedendo quanto amore e quanta comprensione regnassero nel “ménage” del Wagner, perdonò ad entrambi e divenne ospite assiduo dei suoi figli.
Compagna di fede, Cosima circondò l’amato di quella paziente costante tenerezza ch’egli aveva invano cercato nel primo disgraziato matrimonio; di lui si fece la segretaria preziosa e talvolta anche l’intermediaria di Luigi di Baviera, pel quale riunì tutti gli scritti di Wagner realizzando così un grande desiderio del giovane re.
Si narra che Hans de Bulow incontrando un giorno Cosima Wagner, le dicesse: “Vi ho perdonato”. E ch’ella rispondesse con quell’alterezza di regina che le faceva portare alta la testa: “Non si tratta di perdonare, ma di comprendere”.

 

Unione perfetta.

Senza dubbio, Wagner fu perfettamente felice nel suo secondo matrimonio. (Minna era morta di un attacco cardiaco, senza rivedere il marito). A Tribschen, sul Lago dei Quattro Cantoni, i due sposi scordarono le lotte, le angoscie, gli amici diventati nemici, le ire di Luigi di Baviera, che li aveva abbandonati con indignazione; tutta la fioritura di pettegolume sbocciata dal nuovo romanzo di Wagner, a lieto fine, perciò tanto più degno d’invidia. E la felicità dei due immemori si fece anche più intensa, il giorno in cui Cosima diede alla luce il figlio Sigfrido, per la nascita del quale, Wagner compose l’ ”Idillio” famoso: una delle pagine musicali del maestro, più profonde e più commoventi. Nelle lunghe sere d’inverno, fra le meraviglie naturali di Tribschen, che Federico Nietzsche chiamò “L’isola dei beati”Wagner riprese a comporre il “Sigfrido” abbandonato da undici anni: e dettò alla sua compagna le “Memorie” che narrano le battaglie sostenute, in forma forse più smagliante che veridica, poiché rievocata sotto la influenza dei suoi sentimenti verso Cosima.
Ma la missione artistica di Wagner reclamava i suoi diritti, bisognava che un teatro
Wagneriano sorgesse. Bayreuth fu eletta a tal uopo, il delizioso Tribschen salutato per sempre. E seguirono quattro anni di nuove lotte che il glorioso vegliardo sostenne fortemente, aiutato, sorretto, consolato da Cosima, che gli stette accanto come un buon angelo tutelare. Finalmente, nel 1882, il “Parsifal” rappresentato impeccabilmente a Bayreuth, otteneva un trionfo magnifico ed un successo finanziario impensato, cingendo d’alloro la fronte del musico teutone.

 

La missione di Cosima.

Il 13 febbraio 1883, a Venezia, nel palazzo Vendramin-Calergi, Wagner moriva fra le braccia di Cosima, a settant’anni. Egli aveva cantato e suonato quel giorno la prima scena dell’”Oro del Reno” e terminato il suo scritto: Il “femmininonell’umano”. La mattina era grigia e fredda: pioveva. Tutta la tristezza del mondo gravò sul palagio magnifico, come una pietra tombale. Cosima vegliò la salma per ventiquattr’orr senza rilascio, in un chiuso ed attonito dolore che l’impietrò come un marmo. Allorché il medico volle trarla da quella contemplazione, ella si recise le lunghe trecce che il marito tanto amava e le pose il feretro.
Che restava dell’uomo adorato, alla creatura che tutto aveva riposto in lui? Tre figli: Eva, Isotta e Sigfrido. Per questi tre figliuoli Cosima potè sfuggire alla tentazione di seguire l’amato nella tomba. Ma visse anche per continuare l’opera formidabile, intrapresa da chi, col dramma musicale, ha realizzato la sintesi più completa del’arte ed il trionfo del genio.
Se Matilde Wesendonk fu l’ispiratrice, Cosima fu l’abilissima organizzatrice di quel teatro di Bayreuth ch’era stato l’ideale di tutta una vita d’artista. Fondatrice di una nuova scuola di canto, creatrice di uno speciale stile drammatico, fu un’ottima maestra di dizione, verso la quale accorsero artisti celebri da tutte le parti del mondo. I drammi musicali di Wagner, non basta cantarli, è necessario interpretarli. E Cosima guidò e consigliò con paziente intelligenza, i seguaci della religione Wagneriana, continuando, così idealmente l’opera del glorioso marito.
“Tannhäuser”, “Lohengrin”, “I maestri cantori”, furono rappresentati a Bayreuth in grande stile per merito suo ed ognuno notò quali innovazioni sorprendenti si erano fatte, quale rilievo assolutamente nuovo si era dato ad ogni carattere. Questa forte donna, non si sgomentò delle lotte atroci che avrebbero estenuata una creatura meno tenace. Ella portava in sé il dono della fede, legatole come un’eredità da un uomo, del quale era stata la confortatrice fedelissima degli ultimi anni.
Nel 1903, nell’età di 85 anni, a Roma, Cosima Wagner moriva*. Secondo la sua volontà le ceneri furono racchiuse in un’urna d’argento e deposte al cimitero protestante, poco lontano dalla tomba del figlio di Goethe.
Degno luogo di riposo, il silente piccolo camposanto, protetto dalle antiche mura Aureliane, ombroso di cipressi e di pini svettanti; Benché assai lontano dalla Villa di Wahnfried, nella musicale Bayreuth, dove accompagnato dalla marcia funebre del “Sigfrido” in un mattino di febbraio, amici ed ammiratori, vi trasportavano la salma del divino immortale.

GIULIA DATTA DE ALBERTIS

 (Tratto da : La Parola - 4 Aprile 1926 - Illustrazione mensile del pensiero parlato - diretta da Zino Zini - UTET, 1926 )

*ERRATA – CORRIGE
La nostra collaboratrice Signora Giulia Datta De Albertis ci scrive che nella sua conferenza "La donna nella vita di Riccardo Wagner", si deve correggere un grave errore di fatto: Cosima Wagner non è morta e sepolta, come essa scrisse, a Roma, bensì vive tuttora a Bayreuth, dove ha raggiunto la tarda età di 89 anni.