Bestemmia
Agli effetti della norma di legge contenuta nel Testo unico della Pubblica Sicurezza del 6 novembre 1926, importa stabilire che cosa si debba intendere per bestemmia, ed interessa dare uno sguardo alle antiche legislazioni che la punirono come reato. La miglior soluzione, anche giuridicamente parlando, sul primo punto, ci sembra offerta da S. Agostino: blasphemia non accipitur, nisi mala verba de Deo dicere: la bestemmia consiste nel proferire parole ingiuriose contro Dio. Naturalmente costituisce bestemmia anche un epiteto per sé non ingiurioso quando sia aggiunto al nome di Dio ad evidente scopo spregiativo, con impronta di grossolano sarcasmo.
La legge vigente in Italia (art. 232 del citato Testo unico) è quanto mai comprensiva: essa punisce, insieme alla bestemmia vera e propria, anche il turpiloquio e le offese pubbliche ai culti ammessi nello Stato. La pena è l’ammenda sino a 2000 lire; ma può elevarsi sino a 4000 lire “se si tratti di offese al culto cattolico”. Le leghe antiblasfeme hanno di che essere soddisfatte, e anche possono dichiararsi contenti tutti i buoni cittadini che considerano come un turpe difetto l’abitudine della ingiuria alla Divinità. Purtroppo, però, esse è così radicata pur nelle consuetudini di gente che non appartiene al ceto dei carrettieri (i più compatibili tra i bestemmiatori!), che l’applicazione della legge apparirà feroce se non si ridurrà all’1 per mille della sua attuabilità.
Nei tempi antichi, in teoria (e non sappiamo esattamente quanto lo fosse in pratica), la bestemmia era punita con molta severità: presso gli Ebrei e presso i Romani sotto Giustiniano con l’estremo supplizio. In Francia, i Capitolari dell’epoca carolingia ordinarono la pena di morte non solo contro i bestemmiatori, ma anche contro coloro che non avessero denunciato le bestemmie e i loro autori, di cui avessero avuto notizia. Filippo II nel 1181 minacciò la morte per annegamento a chi avesse usate alcune imprecazioni allora frequenti in bocca ai francesi, benché per se stesse non irriverenti verso la Divinità. San Luigi nel 1234 si limitò a infliggere ai bestemmiatori il marchio in fronte o, in caso di recidiva, il taglio della lingua o delle labbra. Un’ordinanza di Carlo VII del 1460 comminava la gogna per sei ore in piazza, con facoltà al popolo di gettar fango e immondizie addosso al condannato.
Ancora nel 1666 Luigi XIV proibiva ai soldati di bestemmiar Dio, la Vergine e i Santi sotto pena d’aver la lingua forata da un ferro rovente. La rivoluzione spazzava, insieme a molte altre cose, anche questo reato, e il Codice del 1791 non ne faceva parola.
In Inghilterra più che la bestemmia si punì l’affermazione contraria al dogma: e vige al riguardo ancora uno statuto del 1697 modificato in parte nel 1813. In Danimarca è comminata dal Codice del 1866 la prigione non inferiore a un mese a chi derida o mostri disprezzo per i dogmi o i culti religiosi. Il Codice penale germanico commina il carcere sino a tre anni a chi è cagione di scandalo bestemmiando pubblicamente Iddio con espressioni oltraggianti. Il Codice penale austriaco fissa la pena da uno a cinque anni di carcere, e sino a dieci anni in caso di grande malizia, per chi bestemmia Dio con discorsi, fatti, opere stampate o scritti diffusi.
Quanto all’Italia, prima del Codice penale del 1889, che non prevede come reato la bestemmia, era in vigore il codice penale sardo del 1859, il quale stabiliva: “chiunque con animo deliberato proferisca pubbliche contumelie ad oltraggio della religione, sarà punito con multa estensibile a lire cinquecento e cogli arresti” (art. 185).
Anteriormente al codice del 1859, il Codice di Carlo Alberto, del 1839, puniva con carcere o reclusione chi “proferisse qualche bestemmia od ingiuria contro il SS.mo Nome di Dio, contro la beatissima Vergine o i Santi.”
Nell’Italia meridionale le leggi penali del 1819 distinguevano tra bestemmia detta in luoghi di sacre o pubbliche funzioni (da due a cinque anni di pena) e bestemmia detta in luogo pubblico senza le dette circostanze (da uno a sei mesi di pena).
Quanto a distinzioni, però, il primato era tenuto dalle Regie Costituzioni del 1770 del regno sardo: la bestemmia “leggera” era punita con un anno di carcere, quella “atroce” con la galera, più o meno lunga secondo che l’ingiuria alla divinità avesse avuto luogo in pubblico o in privato, finalmente quella atroce pronunciata “con animo deliberato” era punita con la morte.
Per gli ebrei bestemmiatori di Gesù Cristo, o della Madonna, o dei Santi, la pena era sempre l’estremo supplizio.
E’ un fatto che oggi, forse, gli israeliti bestemmiano meno, o più prudentemente, che i cristiani.
La legge italiana oggi vigente colpisce, a differenza delle antiche, più l’atto morale che lo scandalo; infatti non distingue tra luogo pubblico e privato. E’ una legge essenzialmente educativa che può considerarsi, oltre che atto politico, un corollario della dichiarazione attribuita a Mussolini da un suo intervistatore: “Voglio correggere gli italiani di alcuni loro difetti”.
(Tratto da : La Parola – Enciclopedia mensile della cultura italiana – Febbraio – Marzo , n. 2 – Torino, 1927, pagg. 35 e 36). |