Il gioco del lotto sorse in Italia, a Genova, e pare dovuto al patrizio Benedetto Gentile. Dapprima era detto “giuoco del Seminario” perché urna del seminario era detta quella nella quale venivan poste 120 schede coi nomi dei cittadini candidati ai “Serenissimi Collegi” in base alle leggi del 1576: ogni semestre se ne venivano estratti a sorte cinque: i genovesi cominciarono a far scommesse sui loro nomi, e così nacque il giuoco. Nel 1644 il Governo genovese convertì in un cespite di rendita pubblica quelle scommesse che prima aveva invano tentato di reprimere e il diritto di tener gioco sulle estrazioni del Seminario fu dato in appalto. Il numero degli eleggibili “imborsati”, da 120 che doveva esser in teoria, si ridusse a 100 e indi a 90, e ciò dà ragione del numero massimo scelto nel gioco del lotto.
In Savoia, nel 1655, Carlo Emanuele II comminò gravi pene contro i giocatori, ma nel 1674 si convertì alla teoria del gioco riconosciuto, e lo diede in appalto mediante un compenso che destinò ad uno scopo benefico: la formazione annua di doti di L. 100 per cinque ragazze povere.
A Venezia il lotto sarebbe sorto verso il 1740, ma già se ne erano avuti indizi sin dal 1715. Tanto poi si perfezionò come funzionamento di organismo governativo, da venir paragonato da uno scrittore ad “un oriolo”, e il popolo così se ne appassionò che divenne talvolta furibondo per non aver fatto in tempo a servirsene.
A Milano nel secolo XVII si prese a scommettere sull’elezione di cinque senatori che ogni semestre erano scelti con estrazione a sorte per la rinnovazione del “Consiglio segreto”; e vana riuscì una grida del 1644diretta ad impedire tali scommesse.
In Toscana il lotto pare fosse noto sin dal sec. XIV sotto il nome di borse di ventura, ma non fu riconosciuto dallo Stato prima del 1739.
La prima memoria che se ne abbia in Napoli è del 1682, dopo il qual anno si tennero due e tre estrazioni ogni anno, sempre però a cura di privati. Abolito per un periodo di oltre vent’anni, fu rimesso in onore nel 1713 e le estrazioni vennero aumentate a nove (1713) indi a diciotto per ogni anno (1774).
La prima legge italiana sul lotto è del 1863. Il Parlamento aveva dichiarato “provvisoriamente mantenuto" il giuoco del lotto a favore dello Stato dando la facoltà al Governo di riordinarlo nelle varie province. Una legge veramente organica però non si ebbe che nel 1881. Nel 1891 venne soppressa la ritenuta della ricchezza mobile sulle vincite e modificata correlativamente la tariffa del giuoco. Le disposizioni sul lotto finalmente vennero raccolte in testo unico 29 luglio 1925, n. 1456. Il provvisoriamente mantenuto del 1863 era stato posto nel dimenticatoio dai ministri delle finanze che nel lotto videro sempre una fonte di entrate non dispregevoli per lo Stato, e dai ministri per l’interno che considerarono il gioco d’azzardo come un male che si può regolare, ma non sopprimere.
Il lotto è amministrato dal Ministero delle Finanze. Le giocate si ricevono presso gli appositi banchi gestiti da ricevitori o da reggenti, e distribuiti secondo la loro sede in vari compartimenti: Bari, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma,Torino, Venezia.
Le giocate che possono farsi sono: estratto semplice, estratto determinato, ambo, terno, quaterno. I premi sono fissati nel modo seguente:
estratto semplice 10 volte la posta
estratto determinato 52 1/2 volte la posta
ambo 250 volte la posta
terno 4.250 volte la posta
quaterno 60.000 volte la posta
E’ interessante confrontare i premi oggi dati ai vincitori con quelli promessi in due polizze di cui una è dell’anno 1833 e sotto l’indicazione Prodotto delle vincite sta scritto: “L’estratto semplice sarà pagato 15 volte la posta, l’Ambo semplice 270 volte, il Terno 5.500 volte, il Quaterno 60.000 volte, l’Estratto determinato 70 volte, l’Ambo determinato 5.100 volte”
La seconda è dell’anno 1882 e sotto la dicitura Premio giusta la tariffa 10 aprile 1881 è scritto: “Estratto semplice 14 volte e 1/2la posta, Determinato 71 e 3/7 ; Ambo 300 volte la posta; Terno 5000 volte la posta; Quaterno 60000 volte la posta”.
La legge odierna pone un freno al gioco, stabilendo il massimo delle vincite nella cifra di 6 milioni settimanali per ciascuno degli otto compartimenti in cui avvengono le estrazioni. Se le vincite superano tale somma, esse vengono proporzionalmente ridotte. E’ pure ridotto a 400milalire il premio che superi tale somma. Così è conservato al gioco il carattere di sfogo popolare di una passione che si trova comune ai raffinati romani della decadenza e alle popolazioni selvagge dell’Africa, l’azzardo, forma inconscia di quell’ansia per l’ignoto che nell’uomo di volontà crea il genio, nell’uomo senza volontà il giocatore disperato.
(Tratto da :La Parola - Giugno - Luglio 1927 n° 6 - Enciclopedia Mensile della Cultura Italiana - Torino , 1927 )
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